venerdì 9 dicembre 2011

Los Gitanos de Andalucia



L'Andalusia è soprattutto Cielo infinito, mutevole, grandissimo.
I colori sono forti, netti, instancabili Si può ritrovare il significato autentico delle parole rosso, giallo e azzurro.
Tutto è netto e deciso, così come lo è la popolazione Gitana che si incontra ad ogni angolo di Siviglia, Cordoba e Granada. Queste sono le città che ho avuto la fortuna di visitare.
Siviglia per me è stata la più sorprendente. Coi i suoi monumenti incantevoli e le vie palpitanti di vita. Ho respirato la forte consapevolezza della cultura Andalusa e la fierezza tipica di ispanici fieri di aver dato luce e spolvero ad un'arte sconvolgente che si vive con lo stomaco, che suscita sensazioni forti e trasmette la gioia, l'amore, la morte, la sofferenza dell'animo andaluso...in una parola, il Flamenco.
Il 'duende' è la forza che passa dall'artista al pubblico e dal pubblico all'artista. 
Si può essere un tutt'uno con el tocar di chitarra flamenca dei musicisti, si può far pulsare il proprio cuore al ritmo dei battiti delle mani, si può ascoltare la storia di un amore perduto smarrendosi nei passi di danza delle flamenquite.
Il popolo Gitano ha dato un enorme contributo alle evoluzioni di questa danza, musica e canto (il Flamenco con un'unica parola intende tutte e tre le fasi). Flamenco era (ed è ancora) un'arte liberatoria, in cui ogni sensazione o problema della propria vita viene esplicitato con forza, è un lungo lamento, talvolta straziante , talvolta dolce nelle vesti di una serenata per l'amata, talvolta come un lancinante grido di guerra. 
Ecco, in Andalusia questo cercavo e questo ho trovato. 
Seguendo i consigli di una guida ho portato la mia truppa in un locale assai conosciuto, nel centro della città, la Carbonerìa: una ex carbonerìa, appunto, trasformata in un locale notturno.
 Arrivando verso le 22 (orario in cui gli spagnoli cenano) si assiste ad un spettacolo posticcio di finto Flamenco (specchietti per le allodole o luccichini per turisti, tanto per intenderci). Tuttavia, se non si perdono le speranze e si resta lì ancora un pò...ancora un pò...ecco che avviene il miracolo: 
via le orde di italiani, tedeschi e giapponesi, ecco una nuova atmosfera...la creano i Sivigliani! 
Il locale diventa luogo di improvvisazioni di Flamenco.
Succede così che proprio la prima notte a Siviglia ho avuto l'onore di conoscere Carlos Heredia, un Gitano Andaluso maestro di chitarra flamenca che ti osserva e sorride mentre suona. La musica che sortisce è indescrivibile a parole.
A lui ho chiesto della situazione dei Gitani in Spagna o quantomeno in quella regione, mi risposto che di discriminazione non ce n'è molta e mi ha guardato stupito quando gli ho detto che in Italia i ''Gitani'' vengono cacciati dalle proprie ''case''.
I pareri raccolti sono però discordanti riguardo al mio sentore sui gitani: vicino alla Cattedrale di Siviglia una donnona Gitana, dopo avermi predetto la buena suerte (e spillato 7 euro perché sono molto superstiziosa....attenti!), mi ha sostenuto che per loro non c'è lavoro, così molti fanno l'elemosina, anche se (improvvisando un passo di baile flamenco) potrebbero essere ballerine cento volte migliori di quelle che si vedono in alcuni locali!
In un bar vicino a Plaza AlfaAlfa addirittura una signora (un pò ubriaca) mi ha negato l'esistenza dei Gitani in Spagna.

Non mi sono data per vinta e per approfondire l'argomento, a Granada dirigo il mio passo verso il Centro Socioculturàl Gitano Andaluso (al suo ventesimo anniversario d'apertura). L'intento era di chiedere a chiunque volesse, nuove informazioni.Insistendo, cercando, sono stata ricevuta dalla presidentessa del Centro (che onore! peccato che in realtà ci fossi solo io a chiedere illuminazioni).Una bella donna dalla carnagione scura e i capelli color pannocchia e tanti anelli bene in mostra alle mie richieste si è illuminata quando le ho detto cosa cercavo e mi ha travolta con un fiume di parole andaluse. Mi haspiegato che la situazione, paragonata a quella dell'Italia, non è troppo diversa: la discriminazione esiste un bambino gipsy fatica ad andare a scuola e a trovare lavoro, però c'è un grande ripetto verso l'arte Gitana.
Mi ha lasciato un paio di opuscoli preziosi che il centro disctribuisce nelle scuole elementari e medie della città: si tratta di un fumetto (oltretutto disegnato benissimo) che racconta tutta la Storia del Popolo Gitano.
Qui in breve, i punti fondamentali:
Si parte dalle migrazioni dell' VIII e IX secolo dal Punjab (India del Nord) quindi all'arrivo in Europa. Qui convivevano più o meno pacificamente diverse culture e religioni e il popolo Gitano venne bene accolto.Ma perchè cambiarono le cose? 
Nel fumetto una grande Croce disegnata è del tutto esplicativa: dal 1492 i re cattolici per unificare i territori conquistati cercarono una stessa religione e una stessa lingua: il cristianesimo e il castigliano. 
Così, come agli ebrei e ai mussulmani, anche al popolo gitano venne proibito di parlare la propria lingua (il Calò, Kalé), di praticare riti e indossare gli abiti della propria cultura, venne impedita la pratica del nomadismo, cercando insomma di negare quella specifica identità. 
L'impegno del gitano di conservare la propria Romanipé (identità) veniva punito con torture, soprusi, galera ed espulsione dal paese. 
Fu così fino al 1783: durante il regno di Carlos III si dettarono per la prima volta leggi contro la discriminazione delle persone, ma ugualmente ai gitani veniva proibito di parlare la propria lingua ed indossare i propri costumi.
Con l’avvento della dittatura Franchista, nel XX secolo, si ripresentò una situazione fortemente negativa per i gitani: fu loro proibito parlare il Calò (sarebbe poi il Romanes) che venne etichettato come la lingua dei delinquenti, si vietarono nuovamente il nomadismo e la vita errante (considerati reati) e si raccomandò alla vigilanza un controllo particolare sulla comunità gitana, venne applicata la legge di “Peligrosidad Social”.
Più recenti e vergognosi e dolorosi gli anni del nazismo, in cui furono sterminati nei campi di concentramento (assieme a Ebrei, omosessuali e 'impuri') oltre 500 mila Gitani.
Con la venuta della democrazia spagnola poi tutto questo è cambiato. L'Articolo 14 della costituzione spagnola dice:

 ''Los españoles son iguales ante la ley, sin que pueda prevalecer discriminación alguna por razón de nacimiento, raza, sexo, religión, opinión o cualquier otra condición o circunstancia personal o social'', 
Siamo tutti uguali davanti alla legge, senza discriminazione di razza, sesso, religione, o qualsiasi altra ragione.
Nello Statuto di Autonomia dell'Andalusia l'articolo 9 garantisce il rispetto verso le Minoranze Etniche, tenendo come obiettivi di base la piena integrazione di queste ultime e in particolare di quella gitana.
Dopo tutte queste persecuzioni ci si chiede che cosa sia rimasto della propria cultura, ad un popolo tanto travagliato dove i valori sono trasmessi di padre in figlio, di madre in figlia.
La famiglia, infatti, è il punto centrale nella vita del gitano, una colonna portante, un costante punto di riferimento. La donna è fondamentale per la trasmissione ai figli dei valori e dei costumi. Gli anziani sono altamente rispettati, in quanto detentori di 'Storia'. Da loro si accetta ogni consiglio per superare le difficoltà della vita.
Si venera la Libertà, si vive nel presente e non si da tanta importanza agli aspetti materiali della vita.
Sono fondamentali la solidarietà, l'ospitalità e l'aiuto verso chi lo necessita, all'interno del nucleo familiare o nella comunità.
Purtroppo la Lingua è quella che si è persa di più, a causa delle persecuzioni prima descritte: i gitani spagnoli oramai non parlano più il Romanes, sono rimaste in uso corrente soltanto alcune parole, che gli spagnoli gagè (non gitani) conoscono ed usano con frequenza.
La Musica, il Cante e il Baile Flamenco sono i punti focale, consolidato e amato di questa tradizione.
A tal proposito, se vi capiterà di andare a Granada, il Flamenco è possibile gustarlo nel quartiere gitano di Sacromonte anche se di Gitani ne ho visti ben pochi (la maggior parte vivevano nelle cuevas- case di pietra scavate nella roccia- ma un recente terremoto ha franato la maggior parte di esse e le famiglie Gitane residenti sono state spostate nel centro della città). Unito al fascino meraviglioso delle case bianche, i fiori enormi, e le fontanelle piastrellate, aspettatevi anche il cattivo gusto di orde di turisti che parlottano a voce alta e fotografano (senza prima guardare) ogni angolo che gli capita sotto tiro!
In ogni caso, le Cuevas Los Tarantos sembrano le migliori, anche se abbastanza turistiche, ma sapere che ci ha ballato Carmen Amaya a me basta come scusa per tornare a Granada!
Quando vi verranno i brividi escuchando un cante de Flamenco, ricordate che è grazie al Popolo Gitano, il Popolo Rom, che potete goderne.
Lo stesso popolo che vi legge la mano per le vie di Cordoba, lo stesso popolo che in Italia chiede l'elemosina all'uscita dei supermercati, lo stesso popolo che non riceve rispetto, eppure ha ancora tanta bellezza da dare.

Concludendo questo articoletto sul mio Viaje Andaluso, mi piace ricordare ancora una volta la felicità della presidentessa del centro culturale nel sentirmi, col mio accento strambo, chiedere tutte le informazioni possibili sulla situazione del suo popolo. Dopo una lunga chiacchierata, mi ha salutata dicendo ''!hasta luego, preciosa!''. Sì, perchè ogni scambio culturale è una Meraviglia, ogni parola molto preziosa.

'sta luego!!

Serena Raggi

Rom e Sinti in Italia


Per comprendere la dimensione e l'ampiezza geografica del popolo Rom è sufficiente sapere che in tutte le lingue europee vi sono uno o più termini che corrispondono all'italiano 'zingaro': cìgani; gitanos; gypsies; tsiganes; ecc., dall'Italia alla Romania, alla Spagna, Francia e Paesi Anglofoni.
Il popolo Rom, composto da comunità molto diverse tra loro da paese a paese, è stimato in numero di otto-dieci milioni di abitanti in Europa; tenendo conto del fatto che dichiararsi zingari nella maggior parte dei paesi non è facile, il numero della stima è approssimativo e difficile da stabilire.
I paesi europei in cui questa popolazione è più consistente si trovano nella parte Est, Slava: in Romania circa l'8% della popolazione del paese è Rom (1 milione e 800 mila persone); in Bulgaria la percentuale è pressoché uguale, si passa poi al 5% dell'Ungheria e al 4% di Serbia,Montenegro e Kosovo. E' subito visibile una concentrazione di questi popoli nei paesi più poveri d'Europa: la zona dei Balcani.
Una presenza cospicua si trova poi tra Irlanda, Francia e Spagna (in particolare la regione Andalusa), mentre soltanto lo 0,10% si trova tra la Germania e l'Italia.
Forse è proprio a causa di questa percentuale,così inferiore rispetto ad altri paesi, che l'Italia convive con il cosiddetto 'problema degli zingari', che vengono percepiti come sparuti gruppi di popoli estranei, da gestire come popolo differente, numericamente esiguo ma pericoloso, da tenere lontano rispetto alla restante numerosissima massa 'gagè' (non zingara) della popolazione.

In Italia è molto forte l'immagine errata dello zingaro inteso come persona nomade e per questo considerato un individuo di passaggio. Il campo nomadi (o area sosta) è percepito come una sistemazione temporanea e l'ignoranza che si vuole conservare sull'argomento permette di sapere solo a poche persone che più dell''80% della popolazione zingara europea è sedentaria da diversi secoli.
In particolare, in Italia si parla di Rom e Sinti.
Questi ultimi sono i cosiddetti 'zingari italiani', provenienti dalle regioni tedescofone, dalla Prussia all'Austria, hanno poi conosciuto periodi di flussi migratori verso Italia e Francia. L'Italia del Nord conta la maggiore presenza di Sinti in Europa, e in queste zone hanno origine i cosiddetti 'sinti piemontesi' e 'sinti lombardi'.
La lingua da loro parlata è detta Sinto ed è un incrocio di lombardo, emiliano e veneto, un vero e proprio ''nuovo dialetto italiano''. In questa loro lingua, relativamente attuale, i termini in Romanes sono pochi e vengono utilizzati solo in rari casi, in cui i Sinti dicono di parlare il ''Sinto stretto'', magari per farsi meno comprendere da persone ostili, eccetera.

L'origine del popolo Rom è controversa.
Sono state individuate varie analogie tra il Romanes (la lingua, appunto, dei Rom), e il Sanscrito del X secolo: alcuni dunque, individuano l'India come loro patria, forse una casta di Intoccabili che ha migrato verso l'Europa; per altri si tratta di una popolazione con ceppo indoeuropeo stanziato tra il I e II millennio A.C. nell'Asia centrale e sugli altopiani Afghani. Da qui forse poi uno spostamento verso l'India del Nord fino al momento (circa l'anno 1000) dell'invasione araba, il periodo in cui inizia il loro esodo, e la loro fama di popolo nomade.
In Italia la presenza di zingari è costituita da Sinti, che esercitavano il mestiere di giostrai e allevatori di cavalli, provenienti dal centro Europa e giunti in Italia intorno al 1400; i Rom Harvati (Croati), giunti nella penisola dopo la Seconda Guerra Mondiale; i Rom Khorakhané, letteralmente i ''portatori del Corano'', provenienti da Albania, Macedonia e Kosovo, arrivati in Italia negli anni 60, in seguito alla crisi economica e poi negli anni 80, a causa della guerra che sconvolse l'ex Yugoslavia;
i Rom Abruzzesi che occupano quella regione dalla fine del 1300; i Rom Lovara, principalmente provenienti dall'Ungheria e i Rom Romeni, di cui ultimamente si registra una presenza forte.
Gli zingari sono dunque anche in Italia una realtà molto eterogenea, e solitamente l'errore sta nel fare di questa diversità di popoli un unico immenso gruppo, i 'nomadi'.
L'operazione compiuta non considera quindi le diversità tra i gruppi considerati ma li assimila in un'unica categoria.
Dalla metà degli anni 80, i Comuni e le Regioni aprono e riconoscono delle aree di sosta per roulotte (le cosiddette campine) : è il momento dell'invenzione amministrativa del 'campo nomadi'.
Dunque, tutti questi differenti gruppi, con differenti culture, diversa lingua, stile di vita, competenza professionale, religione, eccetera, si trovano a dover vivere tutti insieme nello stesso posto, tutti i gruppi vengono nominati con una sola parola e trattati tutti allo stesso modo.
Questa categoria di 'nomadi' è nata facendo riferimento ad un presunto comportamento, il nomadismo: è una visione puramente figurativa del gagè (non Rom), che inventa una popolazione unica per un unico stile abitativo.
Si hanno così degli effetti di auto segregazione, come per i Rom del Sud Italia, praticamente invisibili, e una sedentarizzazione forzata per i gruppi Rom e Sinti del Centro-Nord. Negli anni, le successive migrazioni di Rom creano nuove tensioni. In particolare l'ondata migratoria proveniente dalla Romania, iniziata a sprazzi dal 2000, facilitata poi dall'entrata del paese nell'Unione Europea, ha visto lo spostamento di persone che scappavano da una realtà durissima e da vere e proprie persecuzioni xenofobe.
La presenza dei Rom Romeni in Italia supera oramai quella di tutti gli altri gruppi e rompe così una sorta di equilibrio di gioco delle parti tra istituzioni e popolazione Rom: si è passati da timide politiche di regolarizzazione della presenza zingara sul territorio italiano e di intervento solo nel caso in cui la protesta dei cittadini diventava evidente ad una nuova politica di sgomberi, allontanamenti, occupazioni abusive. Il clima è molto teso e in molte regioni la politica vincente sembra sia quella repressiva.
Il risultato sono campagne elettorali vergognose, e il delinquente che fa sempre più notizia rispetto all'onesto.
I Rom sono diventati così maestri nel campo dell'arrangiarsi: lavoretti precari per gli uomini come la raccolta del ferro, le borse lavoro, eccetera e la questua per le donne e i bambini.
Purtroppo aumentano i soggetti dediti a occupazioni al limite del legale o addirittura illegali come la prostituzione, lo spaccio di droghe all'interno e fuori dai campi, eccetera.
Non giova sicuramente anche il fatto che i lavori tradizionali che caratterizzavano queste popolazioni sono ormai estinti: l'allevamento di cavalli, gli spettacoli circensi, le giostre per i bambini, la lavorazione dei metalli in modo artigianale.
In questo modo è venuta a crearsi una stratificazione sociale anche tra gli zingari e il campo nomadi è diventato un vero e proprio ghetto, a fronte del nostro rifiuto di confronto e della nostra politica di non accoglienza.
Ma quali sono realmente le differenze tra 'noi' e 'loro'? La risposta sta nella differente concezione del tempo e dello spazio. Per esempio, il passato per un Rom non ha particolare importanza, è solo sentito come una tradizione da rinnovare; il presente è tempo reale e significante da sfruttare al momento. Il futuro invece, e forse è proprio questa la differenza maggiore, non ha importanza in termini di progettualità, poiché è un destino già segnato dalla nascita. Se non vi è progettualità allora si vive alla giornata, e questo modo di essere è decisamente incompatibile con il pensiero occidentale che vira tutto verso il futuro e lo progetta continuamente.

La legislatura
Per quanto riguarda la legislatura e l'inquadramento giuridico, la situazione in Italia è abbastanza complessa e tale complessità è dovuta, come già spiegato, dalla vasta gamma di persone che compongono la comunità zingara che vive nel nostro paese: vi sono molti rom e sinti che sono cittadini italiani, ci sono poi cittadini dell'Unione Europea - specialmente l'ultima ondata proveniente dalla Romania -, vi sono gli extracomunitari, gli apolidi (con doppia cittadinanza) e persino qualche rifugiato.
Ne consegue che il trattamento giuridico di queste persone non può essere lo stesso per tutti i casi.
Probabilmente è stata la mancanza di un'adeguata riflessione culturale e giuridica, in particolare tra gli studiosi dei diritti delle minoranze, che ha portato a politiche pubbliche carenti nei confronti di tale popolazione: spesso queste politiche sono anche discriminatorie.
Un esempio: nella prassi amministrativa è diffuso il termine "nomadi", questo rischia di far considerare come nomadi persone che sono stabilmente residenti su un territorio, magari dalla nascita. Questo termine ricorre in numerosi provvedimenti ed etichetta in modo errato un'intera categoria di persone, anche sotto il profilo giuridico.
Il nomadismo sembra discendere, piuttosto che da una tradizione culturale o da una scelta di vita, dalle condizioni di esclusione e di abbandono sofferte da molti rom, e dai loro nuclei familiari, soprattutto quelli giunti di recente dai paesi orientali che adesso fanno parte dell'Unione Europea, come la Bulgaria e la Romania; sta di fatto che attualmente i Rom non più nomadi, quindi sedentari, ammontano all'80% della comunità zingara, che non può più quindi definirsi nomade. I motivi sono svariati, prendiamo in esempio il caso dei Sinti, per lo più esercitanti il mestiere di giostrai, i quali in materia di libertà di circolazione non hanno praticamente più alcun diritto, e i cui circhi montati nelle piazze o nei parcheggi vengono immediatamente segnalati come abusivi e fatti smontare.
Più complessa ancora è la situazione dei Rom stranieri in quanto la loro condizione giuridica, senza il requisito della cittadinanza, appare indefinita, lasciando ampio spazio alla discrezionalità amministrativa, con il rischio di infrangere i diritti base della persona. Per Rom "stranieri" intendiamo persone appartenenti all'etnia rom prive della cittadinanza italiana, provenienti da altri stati dell'Unione Europea, bulgari e rumeni, o non appartenenti ad alcun paese comunitario, come serbi, montenegrini e bosniaci. I Sinti sono invece giuridicamente persone rom che godono da tempo (secoli) della cittadinanza italiana.

La funzione del Diritto è quella di organizzare al meglio l'esistenza di persone diverse in uno stesso territorio, per cui tale organizzazione varia da Stato a Stato.
In un paese come l'Italia, la forma di Stato è autoritaria e l'organizzazione giuridica dei rapporti tra le persone fa cedere tale diversità di fronte all'unità Nazionale.
Contrariamente, in una forma di Stato di tipo democratico e sociale, il diritto mette al centro la persona e le sue peculiarità.
Giuridicamente, chi sono Rom e Sinti? Sono persone che hanno diritti e doveri come ogni altra persona e che appartengono ad una minoranza etnico-linguistica non ancora riconosciuta.

Da poco è stato festeggiato il 150esimo anno dell'Unità d'Italia: vanno ricordati assieme al popolo italiano migliaia di Rom e Sinti che oramai ne fanno parte.
I loro antenati vennero discriminati dal regime fascista proprio come i nostri e la più terribile delle persecuzioni venne fatta anche verso di loro. Tutti conosciamo la parola Shoah, che descrive lo sterminio del popolo ebraico, mentre non tutti sanno del Porrajmos, letteralmente ''divoramento'', ovvero lo sterminio del popolo zingaro durante lo stesso periodo storico e sulla base delle medesime leggi razziali.
E' vergognoso che persino ''La Giornata della Memoria'' , istituita ogni anno il 27 gennaio per ricordare le persecuzioni e gli stermini del periodo della Seconda Guerra Mondiale, non menzioni minimamente il Porrajmos. L'olocausto zingaro tra il '40 e il '45 fece oltre 500'000 vittime. Furono perseguitati, imprigionati, seviziati, sterilizzati, utilizzati per esperimenti medici, introdotti nelle camere a gas dei campi di sterminio, perché secondo l´ideologia nazista ''razza inferiore" e indegna di esistere. Gli zingari erano geneticamente ladri, truffatori, nomadi: la causa della loro pericolosità era nel loro sangue, che precede sempre i comportamenti.
Le vittime di tale massacro sono state ricordate in Camera Dei Deputati soltanto nel dicembre 2009.
Tornando alla situazione giuridica, si sa che storicamente, nei paesi ricchi come in quelli più poveri, la crisi economica ed il senso di frustrazione tra i ceti deboli, soprattutto nelle grandi periferie urbane, hanno fatto scattare la logica del "capro espiatorio" e, malgrado i diversi appelli delle istituzioni comunitarie per considerare i Rom come una minoranza, si sono moltiplicati gli episodi di esclusione violenta nei loro confronti. In particolare in Italia è larga la tendenza alle espulsioni forzate e agli sgomberi, spesso effettuati con l'uso di violenza, proprio quegli sgomberi che recentemente il Parlamento Europeo ha condannato, invitando gli Stati a praticare politiche di inclusione, di integrazione e di coesione.
Nel 2010 da parte della Commissione Europea, si annunciava l'apertura di una procedura di infrazione nei confronti della Francia per le operazioni di sgombero e di rimpatrio messe in atto dal paese. Da questo punto di vista, è bene ricordare, la condizione dei rom in Francia è profondamente diversa da quella dei rom italiani perché in Francia si sono comunque realizzate importanti attività di integrazione e la maggior parte dei rom francesi sono cittadini di quel paese, mentre la legge italiana sulla cittadinanza, la più arretrata in Europa, ha contribuito alla diffusione di una pericolosa condizione di apolidia che è oltretutto solo "di fatto".
Il problema maggiore è infatti la mancanza di documenti, che fa delle persone rom di fatto dei prigionieri in un carcere all'aperto, in quanto privi del diritto alla circolazione. Questa mancanza non da loro il diritto di accedere a strutture sanitarie, al mondo del lavoro, e non da loro diritti che per noi sono scontati.
Rom e Sinti costituiscono una minoranza etnico-linguistica, ma non sono trattati come tale.
Hanno una determinata lingua, il Romanes, anche se con varie sfumature, una lunga storia comune, una cultura, arte e musica. Si tratta di una minoranza volontaria, i cui membri aspirano cioè a mantenere tali peculiarità e aspirano quindi a determinate garanzie giuridiche che assicurino loro il rispetto di tali caratteristiche da parte della maggioranza. La protezione delle diversità arricchisce il principio di uguaglianza. Anche se la parità e la tutela della persona viene davanti a tutto, considerando tale persona con un principio di parità assoluta rispetto alla maggioranza.
Per quanto riguarda l'istruzione, la scolarizzazione delle persone rom è ancora piuttosto bassa e la maggior parte degli adulti non è in grado di leggere né scrivere.
Si sta notando però una lenta ma graduale voglia nei giovani di portare avanti gli studi almeno fino alla conclusione delle medie.
Spesso ci si trova di fronte alla solitudine della scuola nell’affrontare a mani nude tutti i nodi e i problemi che il difficile processo dell’integrazione comporta.
Ci si misura con una scuola dalle poche risorse, sia umane che economiche; con la miopia delle istituzioni nell’incapacità/diffidenza di avviare reali politiche per migliorare la prospettiva del futuro rispetto all’integrazione.
La frequenza scolastica per un ragazzino rom è determinata da vari fattori. Il razzismo è un vergognoso ostacolo col quale spesso devono confrontarsi e nella scuola purtroppo la situazione è simile all'esterno. Vi è anche il fattore della famiglia, per cui il ragazzo a volte è utile in casa e la scuola in quel caso è vissuta come una perdita di tempo utile. Altro fattore importante è l'interazione culturale tra insegnante e ragazzo, in cui la fiducia dovrebbe essere la base del dialogo, purtroppo spesso l'insegnante rimane pur sempre un gagè, un'istituzione dalla quale guardarsi e a cui non dare troppe confidenze.
Viviamo in un paese multiculturale ed è necessario formare insegnanti in grado di sapersi confrontare con le diverse culture che si trovano davanti, e l'insegnamento deve avvenire attraverso una relazione educativa fondata sul riconoscimento dell’altro e sulla mediazione culturale di contenuti e metodologie, in modo che attraverso la scuola questi bambini possano divenire davvero cittadini attivi di questo Stato.
Grande successo ha avuto il progetto di Vania Mancini, le Chejà Celen, in Romanes letteralmente ''ragazze che ballano'', svolto insieme all'Arci Solidarietà Lazio in collaborazione con il Dipartimento alle Poltiche Educative del Comune di Roma. Tale progetto è iniziato nel 2008 ed è stato pensato per la scolarizzazione dei minori Rom, aumentando il numero dei bambini accompagnati a scuola, la loro frequenza e la qualità di apprendimento. Per indurre le ragazze a frequentare la scuola Vania Mancini ha utilizzato la loro musica ed il loro ballo. Partendo dal campo rom di Cesare Lombroso a Monte Mario fino alle scuole, fino ad un progetto di ballo che ha fatto vivere la loro diversità non più come un handicap, una vergogna, ma come una risorsa, disponendo di una competenza peculiare da insegnare anche alle ragazze italiane, che durante il progetto hanno partecipato in massa durante gli stage nelle scuole. In un rapporto di parità finalmente anche le ragazze Rom hanno potuto insegnare qualcosa agli altri, i movimenti dei loro balli, essendo anch'esse detentrici di una grande tradizione e cultura. Nel progetto sono state coinvolte anche le madri Rom del campo, che per le occasioni degli spettacoli (che sono stati tanti), hanno confezionato per le figlie i costumi di scena. Le ragazze hanno così aumentato la loro presenza a scuola e hanno potuto fondere i loro saperi con le altre ragazze dell'istituto, realizzando contemporaneamente un progetto artistico che le ha portate in giro per tutta Italia.
Purtroppo si tratta di un caso particolare, poichè in altri ambienti, come ad esempio a Torre Del Greco, in provincia di Napoli, la situazione può essere ben diversa. Nel 2010 la scuola Giovanni Falcone ha aperto le porte ai bambini rom e i genitori degli altri alunni hanno protestano, addirittura manifestando nel cortile della scuola e facendo una raccolta di firme per chiedere all'Asl di appurare se i minori fossero in regola con le vigenti normative sanitarie in merito alle vaccinazioni obbligatorie. Motivo della discordia la decisione della dirigente scolastica di consentire a sei bambini ospiti del campo rom che sorge in prossimità dell'autostrada di frequentare le lezioni.
In un'altra scuola elementare della provincia di Rovigo, sempre nel 2010, si iscrissero solo 19 bambini. Tutti Rom. Gli altri, gli italiani, piano piano si spostarono tutti altrove. I genitori italiani sostennero che i rom rallentavano l’apprendimento dei loro figli. Questo destò l'indignazione dell'Opera Nomadi che si ribellò proponendo di chiudere la scuola divenuta un ghetto.
Gli insegnanti devono essere formati in modo da avere gli strumenti per affrontare qualsiasi situazione di diversità culturale. Ciò non significa che la scuola debba adottare le modalità pedagogiche rom e assumersi il compito di formare dei rom. La scuola è uno strumento di acculturazione, che non può fare altro che avvicinare le minoranze alla cultura maggioritaria. L'importante è che non sia strumento di deculturazione.
L'obiettivo è quello di giungere ad un'educazione scolastica che si coniughi con l'educazione familiare in modo da completarla e non contraddirla.
Le cose che si possono fare in questo senso sono, ad esempio, organizzare dei percorsi di conoscenza della cultura attraverso i quali i docenti possano meglio comprendere i loro allievi, i loro comportamenti, le loro aspettative, le loro modalità di interagire con le persone,eccetera.
E' importante anche instaurare un rapporto con le famiglie che comunichi ai bambini una continuità fra il mondo di casa e il mondo della scuola, senza contraddizioni.
Si può poi ricorrere alle modalità di cooperazione tipiche della comunità rom, facendo ricorso all'aiuto di eventuali fratelli o cugini più grandi presenti nella scuola per instaurare un rapporto di maggiore fiducia verso l'insegnante.

La salute
Il contesto in cui vivono le persone rom deve essere preso in grande considerazione nel valutare le cause di malattia.
I Rom che abitano nei campi non vivono in luoghi 'naturali', ma in luoghi imposti, artefatti, situati in zone altamente periferiche con poca possibilità di gestione dello spazio. Le localizzazioni assegnate ai campi nomadi sono comuni ovunque (una sorta di urbanistica del disprezzo), da incerte infrastrutture, a paesaggi confine tra città e campagna, a parcheggi vicini a snodi autostradali. Le condizioni di salute degli individui di certo dipendono anche da queste imposizioni del luogo in cui vivere. Ci sono ampi fattori di rischio a cui questa popolazione è costantemente sottoposta. Vi è inoltre una carenza drammatica di dati sulla condizione di salute di rom e sinti che vivono nei campi in Italia. D'altronde la relazione fra popolazioni zingare e mondo non zingaro è sempre stata caratterizzata da una scarsa conoscenza, dalla quale poi nascono pregiudizi e diffidenze, nel campo della sanità come in qualsiasi altro campo. La scarsa conoscenza rispetto alla condizione di salute di rom e sinti è frutto di pregiudizi e diffidenze e contribuisce ad alimentarli. I bisogni di salute, i problemi specifici e i rapporti con i servizi sono estremamente vari nei diversi gruppi rom e sinti, stranieri e italiani. Sarebbero necessarie analisi appropriate che distinguessero tra diversi bisogni e problemi per avviare politiche partecipate d’intervento su questo argomento, ma tali informazioni ed analisi non sono disponibili, poiché rappresenterebbero un legame tra condizioni socio-economiche e abitative, marginalità e condizioni di salute.
Vi è invece un’attenzione verso problemi che non costituiscono i reali problemi di salute di rom e sinti, per esempio la ''sporcizia'', anche questo un vero e proprio pregiudizio, una mancanza di studi che leghino le patologie più frequenti alle condizioni di vita nei campi, una carenza sui bisogni e le priorità e una mancanza totale di partecipazione di questa popolazione alle ricerche in questo senso.
Un dato certo è che rom e sinti in Italia hanno una speranza di vita di 9 anni inferiore alla media nazionale a causa dell’emarginazione a cui sono costretti.
Alcune malattie sono dovute all'alta mobilità di certe famiglie. Questa mobilità, come spiegato prima, difficilmente è dovuta alla pratica del nomadismo, in quanto per lo più estinta. Piuttosto è probabile lo spostamento continuo di famiglie che cercano abitazioni marginali e vanno quindi identificate le responsabilità delle istituzionali nel causare questa alta mobilità alle famiglie ma anche nell'ostacolare l’accesso ai servizi sanitari o nell'offrire servizi inadeguati alle necessità delle persone.
Conclusione
E' necessario ed urgente creare percorsi di introduzione al lavoro, mediante l'aiuto di mediatori culturali, magari Rom,
ed è ancora più necessario investire sull'istruzione e l'integrazione dei bambini, ad esempio con borse di studio, tutor e facendo capire alle famiglie che l'istruzione è essenziale per sopravvivere nel mondo occidentale, sia perché l'istruzione da diritto alla cittadinanza, sia perché attraverso questa il popolo zingaro può essere in grado di salvare la propria cultura e tradizione, essendo contemporaneamente in grado di contaminarla con la nostra.
L'Italia sta diventando un paese multietnico, questo è un dato evidente, eppure il popolo zingaro resta per noi un eterno 'straniero' da cui guardarsi.
Dobbiamo essere in grado di riconoscere questo popolo, con tutte le sue caratteristiche, al pari di un altro qualsiasi popolo mondiale, rompendo la pratica del razzismo ma anche dell'assistenzialismo (pratica che allo stesso modo non riconosce l'altro come uguale), le iniziative che possiamo intraprendere sono :
- Il riconoscimento di questo popolo attraverso il riconoscimento della lingua Romanes;
- Il riconoscimento del diritto al nomadismo (nel caso di alcuni piccoli gruppi ancora nomadi);
- Un censimento degli zingari in Italia con successiva regolarizzazione dei loro documenti;
- Riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia che così potranno accedere senza problemi al mondo del lavoro;
- La richiesta da parte del Governo Italiano del Fondo Sociale Europeo per avviare serie politiche di inclusione abitativa, lavorativa e scolastica delle persone Rom.
Serena Raggi